Sisma Centro Italia: l'importanza dei "Sentieri di Prossimità" - Protezione Civile, Il Giornale della

2022-09-04 01:09:19 By : Ms. Cindy Qu

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Dopo il terremoto del 2016 in Centro Italia, a essere state colpite non sono state soltanto le case, le piazze e le vie, ma anche le vite delle persone. In un senso metaforico, ma anche in un senso molto poco metaforico, dato che le vite sono fatte di cose concrete, di oggetti e pareti, di abitudini e di contatti umani che formano il tessuto sociale. Di conseguenza, quando si ricostruisce una città, non bisogna pensare a ricostruire soltanto le case, le piazze e le vie, ma anche a ristrutturare e a rafforzare le vite e gli affetti. Per questo motivo Croce Rossa ha lanciato il progetto Sentieri di Prossimità, andato avanti dal 2019 al 2022, che ha impegnato un team di psicologi e assistenti sociali per fornire assistenza diretta alle persone delle aree terremotate. Abbiamo intervistato due psicologi e psicoterapeuti, Giulia Dionisi e Aquilino Calce, che hanno partecipato al progetto - e ci hanno raccontato le loro esperienze.  Ricostruire il passato e il futuro Giulia Dionisi, psicologa e psicoterapeuta anche per i Sentieri di Prossimità intorno al cratere, racconta di come hanno lavorato sul territorio per la durata di due anni e mezzo. “Io sono stata sul territorio come volontaria” - racconta. “Abbiamo lavorato molto con tutto il gruppo volontari per esperienza e supporto psicosociale, con molte attività tra Marche e Lazio, tra Arquata del Tronto e Amatrice, per ricostruire il tessuto sociale disgregato”. Tra le varie iniziative c’è stato anche un Summer Camp, con un laboratorio di pittura che è stato molto interessante. Nei video pubblicati dalla Croce Rossa, tra le varie attività svolte dai volontari si vedono anche degli interventi domiciliari, con passeggiate tra le Sae praticamente porta a porta. Come racconta Giulia Dionisi, molti interventi sono stati mossi dalla necessità di avere compagnia, “che per un anziano è una cosa della massima importanza. Poi, con il tempo” - racconta sempre la psicologa - “viene a crearsi una parte affettiva, dove nel corso delle tue attività magari ti fermi anche per un caffè, a chiacchierare, a sapere come va”. Oltre a interventi simili, ci sono stati anche interventi con un contenuto diverso. Fermo restando che per le fasce di età più anziane, che durante il terremoto hanno visto crollare tutto ciò per cui avevano vissuto, tutto ciò che avevano costruito, la vicinanza affettiva deve essere molto molto forte. E a questo, poi, nel 2020 si è aggiunto Covid: “La fase di isolamento, soprattutto del primo lockdown, si è sentita in maniera importante. Per questo ci siamo impegnati anche in altre cose, come per esempio l’idea di portare un uovo di Pasqua nelle case durante il lockdown. Ecco, questa attività per gli anziani è stata molto importante, perché è stato un modo per aver cura delle persone”. “Per i piccolini invece c’è una prospettiva futura” - racconta Dionisi - “ma l’impatto del terremoto ha avuto una forte influenza. Per questo un’altra nostra attività è stata il laboratorio teatrale per bambini e ragazzi. Avevamo dato un tema, che era il sogno che aveva ognuno di loro, ed è durato per quattro mesi. Credo sia stata un’attività molto importante soprattutto in questa prospettiva, con un’idea di futuro e di fiducia nel domani”.  Cose che crescono tra le ferite Giulia Dionisi di questa esperienza ha conservato molti ricordi preziosi, legati soprattutto all’idea che senza perdere la speranza è possibile anche far rinascere questi territori. Molti sono i ricordi e gli aneddoti, ma uno è stato molto significativo: “Un giorno stavamo attraversando un momento duro e difficile. C’era stata molta tristezza, con un momento di elaborazione emotiva molto importante. Eppure, in quel momento, abbiamo trovato i cittadini che avevano riproposto in modo ironico, scherzosamente, quello che facevano prima del sisma, cioè una sorta di cerimonia, di processione, che era un momento importante che avevano perduto. La avevano ricreata utilizzando molte cose trovate nel territorio, tra gli scarti e le macerie, per esempio un appendiabiti. Mi è rimasto molto impresso perché in quel momento loro lo avevamo preparato con ironia ma anche con molta passione, con molta gioia”. “Per me tutto questo è come un fiore che nasce da una terra arida. Tengo molto a questa immagine dei fiori” - spiega Dionisi - “del germoglio che nasce da un terreno ferito, perché poi al lato della strada appariva sempre un albero da frutto, molto pieno e molto corposo. Questi territori sono pieni di crepe, ma dalle crepe può nascere di nuovo la vita”.  Storia di uno che vive nel cratere La storia di Aquilino Calce, psicologo, che ha fatto parte del team Marche, volontario del comitato di Camerino in provincia di Macerata, si svolge invece solo nelle Marche, dove lui ha vissuto anche prima del terremoto. “Io vivo in questa zona” - racconta Calce - “anche io sono una delle migliaia di persone che vive in questi territori. Il terremoto forse mi ha colpito meno rispetto ad altri, forse gli effetti sulla mia vita sono stati più blandi, ma io ho vissuto in prima persona il sisma e ho sentito i suoi effetti. Quindi parlando con le persone, quando venivano fuori gli aspetti personali, io sapevo cosa mi stavano dicendo, capivo di cosa stavano parlando”. Il progetto Sentieri di Prossimità è iniziato il settembre 19 ed è terminato nel luglio 2022. Nelle Marche c’è stato un progetto analogo nel settembre 2018, terminato nel settembre 2019. “Il progetto richiedeva di recarsi in loco, nelle Sae, soluzioni abitative di emergenza” - racconta Calce. “Dovevo recarmi sul posto, incontrare le autorità locali, il comune, avvisare le forze dell’ordine che stava partendo questo progetto per aiutare le persone”. Perché sì, l’obiettivo era aiutare le persone, soprattutto quelle che vivono in luoghi montani, spesso isolati, con un’età media molto alta. “Dovevo necessariamente anche rapportarmi con i servizi territoriali, il Consultorio, il Centro Salute Mentale. Poi questi incontri hanno bisogno di setting diverso, perché parliamo di psicologia dell’emergenza. Oltre a questi progetti, ce n’erano altri che forse avevano bisogno di una presa in carico più lunga per più tempo, dal punto di vista sociale”. Reazione al Covid In tutto questo dopo, dopo quattro mesi dall’inizio del progetto c’è stata l’esplosione del Covid. “Con il Covid non potevamo muoverci con la libertà di prima, ma abbiamo continuato a fornire assistenza telefonica, facendoci contattare o contattando noi se si era creata una certa vicinanza. Mettevamo comunque in pratica tutte le precauzioni mediche del caso, evitando magari di entrare nelle Sae, di stare troppo vicini, indossando le mascherine e lavandoci le mani. Il nostro lavoro lì è stato diverso, dato che c’erano difficoltà importanti, con situazioni diverse - situazioni che uno psicologo dell’emergenza si trova ad affrontare con un lavoro anche di sostegno, a superare situazioni di difficoltà comprendendo anche reazioni emotive molto importanti in certe situazioni. Questo è stato grosso modo il lavoro di questi due anni e mezzo. Poi quando abbiamo potuto stare presenti sul territorio, siamo stati in grado di creare un’appartenenza forte sul territorio stesso. E per presenza intendo non solo quella di una persona a caso che andava a trovarli, ma della presenza di un volontario con la divisa di un’associazione importante come la Croce Rossa, cioè un’associazione ben riconosciuta, apprezzata anche da prima in quei territori. E una volta che questa relazione di vicinanza si creava, le cose andavano avanti in modo automatico. C’era molta accoglienza, tanto che a volte trovavamo anche le Sae con la chiave sulla porta - come si usa ancora in alcuni luoghi”. In sostanza, come racconta Aquilino Calce, tutto il progetto in sé è stato significativo anche per lui, perché “ha arricchito la mia persona e la mia figura professionale”.  Il significato delle piante “Un giorno” - racconta Calce - “abbiamo fatto a tutti il dono di una piantina, per invitare le persone a prendersene cura. Mi ricordo che quella volta una persona che conoscevo, che aveva avuto esperienze tragiche, scelse tra tutte quelle piantine una che era abbastanza brutta. Io ci ero rimasto quasi male, proprio perché era un’idea legata alla cura. Invece, tempo dopo, quando sono passato a casa di questa persone, ho visto che questa piantina, che all’inizio non era nemmeno così in forza, era diventata una delle piante più belle che erano rimaste nel gruppo delle Sae”.  Giovanni Peparello

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